La Cantina di Monticello

Bere Giusto

Bere Giusto, ognuno può diventare un perfetto sommelier… Le quattro “regole” dell’abbinamento cibo-vino secondo Luigi Veronelli

Sulla ricerca dell’abbinamento, o “accoppiamento” come scrive Veronelli, con il cibo. Non è un manuale tecnico, o meglio lo è, ma solo in parte, perché si basa su un approccio delicato e amoroso nei confronti del vino, considerato come un amico. Bere Giusto

“Se non ami il vino, se non sei disposto a riconoscerlo amico, non leggermi” dice Veronelli nella premessa, sottolineando che la scienza non ha ancora compreso “il meccanismo delle infinite metamorfosi del vino”, qualcosa che possono comprendere soltanto coloro che lo amano profondamente.

Ogni vino ha il suo racconto. In poche pagine Veronelli riassume l’esperienza della degustazione che passa attraverso l’occhio, il naso e il palato; fornisce delle indicazioni sulla temperatura di servizio, sui bicchieri adatti ad ogni vino e sulle modalità di conservazione delle bottiglie, ovvero tutte le norme dell’assaggio “che non contrastano con la buona educazione”.

Ma sottolinea che la cosa più importante è bere con amore; perché il vino “comincia sempre con il rifiutarsi, con garbo o villania secondo il temperamento, e si concede solo a chi aspira alla sua anima oltre che al corpo. Apparterrà a colui che lo sa scoprire con delicatezza.”

Luigi Veronelli distingue, poi, tra l’assaggiatore di vino, che lo giudica attraverso un esame organolettico, e il “buongustaio” che va più in là e lo apprezza con un piatto che ne esalti la qualità: “Il sapore di un cibo, quasi sempre, scopre le qualità di un vino e le esalta. A loro volta le qualità di un vino completano il piacere di un cibo e lo spiritualizzano.”

Quello tra vino e cibo è un matrimonio, ma salve alcune incompatibilità di carattere, la “monogamia” è rarissima, vini e cibi sono “libertini” e “le scappatelle, i rapidi amori, gli escamotages” sono facili. Per questo Veronelli fornisce delle regole “drastiche per quanto non si deve fare”, per il resto raccomanda “libero spazio alla fantasia” nella ricerca della gioia.

Ecco, quindi, le quattro nozioni preliminari, “utile la prima, vincolanti le altre”:

~ Non è sufficiente accostare un vino a un cibo; a voler essere perfetti occorre aver occhio allo svolgersi del pasto e armonizzare, così come la successione delle vivande, quella dei vini. In linea molto generale: fare seguire i vini dai più fini e delicati ai più robusti e generosi; servire i vini bianchi all’inizio e alla fine del pasto; evitare, per quanto possibile, che a un vino bianco faccia seguito un altro vino bianco. Ripeto: queste norme non sono vincolanti; meglio contravvenirvi che rinunciare a un buon matrimonio.

~ Conviene che lo riscriva. Il vino, bianco o rosso che sia, sia puro. L’acqua serve a molte e meritevoli cose; a tavola ad una sola: quando cambi bottiglia, bevi un sorso d’acqua fredda e sbocconcella un morso di pane. (non un pane qualsiasi, secondo Veronelli è meglio il pane di segale, ndr)

~ Vi sono vini che rifiutano accostamenti immediati con i cibi, quasi sempre per eccesso di corpo, o di alcol, o di zuccheri. Sono i cosiddetti vini aperitivi, da fine pranzo, da fuori pasto e, quei pochi grandi, da meditazione (ma anche qui è bene fare dei distinguo; ci sono eccezioni. Ad esempio, i grandi Sauternes, primo fra tutti lo Château Yquem, oltre ad essere ineguagliabili vini da meditazione si accoppiano a non pochi cibi.

Nessuno mi toglierà il piacere, su un cibreo di rigaglie (piatto toscano a base di frattaglie di pollo ndr), tutto un giuocare, un contrappunto di sapori, di servire la ferma possanza dello Château, freddo, quasi al gelo; il colore lunare del gran vino, il bouquet folto e tuttavia elegante, il suo sapore che non è dolce ma delizioso, morbido e flautato, entreranno nel giuoco, lo arricchiranno, già per l’accostamento del calore vivido del cibreo e del freddo senza incertezze del vino, di mille nuovi suggerimenti e sfumature).

Anche sui vini aperitivi voglio richiamare l’attenzione: non ho mai capito perché da noi i vini, se escludiamo i vermouth (che sono, tuttavia, vini “lavorati”), non vengano serviti come aperitivi. Uno Champagne o uno spumante brut, soprattutto, ma anche un Cerasuolo di Vittoria, o un vino stravecchio di Casteldaccia (ed ho fatto volutamente esempio di “contrasto”), serviti freddi freddissimi, quasi ghiacciati, non hanno nulla da invidiare a nessuno.

~ Vi sono ingredienti e preparazioni cucinarie che rifiutano accostamenti immediati coi vini, pena la distruzione dei sapori, quasi sempre o per un connaturato eccesso di acidità ed è il caso degli agrumi e delle salse e marinate agre, o per un sovvertimento immediato dell’ambiente della degustazione, il palato, dovuto a gusti di particolare rilievo e personalità, “eccessivi”, ed è il caso di alcuni pesci grassi e della cioccolata, o a violenza di temperatura (gelati) e di alcol (preparazioni con netta e distinta “presenza” di acqueviti e liquori). Non a torto scriveva Giuseppe Antonio Borghese: “Anche l’aroma di un prezioso vino vecchio scivola sul palato del bevitore d’assenzio”.

~ Queste regole e le successive raccomandazioni e abbinamenti proposti nel libro non sono dei diktat, sebbene il vino normalmente rispetti le “sacre regole” spesso ogni regola è sovvertita. Veronelli conclude pertanto questa introduzione alla pratica dell’abbinamento con una promessa: “Io ti darò qualche suggestione; a te il piacere delle scoperte”.

Fonte: La Fillossera Bere giusto Luigi Veronelli

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